domenica 21 settembre 2014

La rosa dell'Adesso



Un vecchiaccio cattivo, grinzoso, coi baffi all'ingiù e la barba a
chiazze, incolta. Era visto più o meno così, Onofrio, in paese. Un lupo solitario, un orso, che non usciva mai dalla sua tana. Un essere carico di sofferenze che, per non sentirle, aveva alzato intorno a sé muri: si voleva difendere dal mondo. Nessuno lo conosceva bene. La gente si era fatta un'idea di lui attraverso fotogrammi, frammenti di vita, come quando lo vedevano uscire tutto cencioso per andare al cimitero dai suoi genitori e dalla povera moglie, Isabella.
Un giorno un gruppo di bambini si avvicinò al suo giardino per giocare a palla. Era primavera, il sole splendeva, gli schiamazzi volavano come suoni colorati. E il pallone finì dentro, da Onofrio. I ragazzi provarono a guardare oltre il muro. Si arrampicarono, ma niente. Troppo alto. Dopo pochi minuti si udì un fruscio, come di un gatto. Il pallone saltò fuori lacerato in mille fendenti.
“Andate via, delinquenti, non fatevi più vedere” guaì Onofrio dall'interno. I ragazzi non si avvicinarono mai più da quelle parti.
O quella volta, quando passò il postino. Non lo conosceva ancora bene. “Buongiorno signor De Pretis, c'è posta per lei” disse sorridendo lo sconsiderato. E di ritorno: “Lascia tutto nella cassetta e porta via quel tuo brutto muso da qui!”.
Intorno alla casa di Onofrio c'era gelo, silenzio, isolamento. D'inverno, se in paese metteva venti centimetri di neve, da lui stai sicuro ce n'era un metro. D'estate, se in paese c'era il sole battente, stai sicuro che una nuvola o un acquazzone portavano pioggia sulla sua casa.
Le notti di Onofrio erano infestate da incubi appuntiti. Si svegliava, si svegliava sempre. E puntualmente, alla stessa ora, verso le 3:40, faceva l'unica cosa al mondo che sapeva tenerlo tranquillo. Si puliva la bava ai lati della bocca. Infilava le ciabatte, a volte le invertiva. Scendeva le scale e toccava la chiave che teneva al collo per sapere se c'era ancora. Entrava in cortile, si avvicinava ad una porta in legno, nascosta dall'edera, e apriva. Lì sentiva un refolo di pace, una frescura di silenzio: nel suo giardino di rose. Le curava con attenzione, parlava alle rose, le bagnava, il suo corpo sembrava diventare più flessibile in quello spazio nascosto, si muoveva tra la bellezza dei colori come un ballerino sinuoso, la sua rigidità spariva, era a casa. Lì, da solo, per pochi istanti, si sentiva a casa.
La magia del giardino di rose finiva in fretta. Onofrio resisteva alla bellezza solo pochi minuti. Quasi come un ladro che veniva scoperto si scrollava di dosso quei momenti, chiudeva tutto, e se ne tornava a letto di fretta, con i suoi incubi che lo attendevano impazienti.
La vita di Onofrio proseguiva così: un fiume paludoso grigio-verde, che ogni tanto nel suo scorrere incontra un intoppo e ha bisogno di accelerare, di buttar fuori la rabbia sul primo che passa.
Una notte, quella notte, Onofrio si alzò sudato, in preda a sogni tremendi. Si asciugò la bava, mise le ciabatte al contrario e scese le scale, in un automatismo perfetto. Erano le 3:40. Toccò la chiave che teneva a tracolla, sul petto. C'era: tutto bene. Avanzò in giardino, percorse il vialetto, alzò gli occhi. Il portone di legno era per metà aperto. Già aperto. Impossibile. Un brivido gelato gli percorse la spina dorsale. I ladri. Corse in casa, prese un badile, si posizionò vicino alla porta. E guardò dentro. Non c'era più nessuno, buio. Entrò piano e vide qualcosa di insolito. Chi era stato lì si era limitato a strappare una rosa, una delle più belle; Onofrio se ne accorse subito, le conosceva a memoria. Nient'altro era stato toccato.
La situazione si ripeté ogni notte per tutta la settimana: Onofrio arrivava al giardino e qualcuno era stato lì, aveva strappato una nuova rosa e se n'era andato.
L'ottava notte Onofrio decise di restare sveglio, voleva capire chi erano i suoi visitatori. Appena sentì dei passi, lo scricchiolio del portone che si apriva, uscì lentamente e vide una scena strana, inconcepibile.
Nel giardino c'era un uomo vecchio, sporco, abbastanza curvo, teneva in mano una forbice con cui stava per recidere la rosa. Nell'altra mano aveva un filo a cui teneva legato un bimbo, apparentemente cieco: muoveva un piccolo bastone bianco.
Onofrio, vista quella scena tremenda, si fece prendere dalla rabbia ed entrò nel roseto brandendo il badile.

“Chi diavolo sei?! Un ladro?! Non ti vergogni di trattare così quel povero bambino?” disse sbraitando, con gli occhi rossi.
“Oh caro Onofrio, ti aspettavamo” disse l'anziano girandosi a fatica, e proseguì “hai fatto una bellissima domanda, che però dovresti rivolgere a te stesso”.
“Ladro! Chi sei? Chi sei per parlarmi così? Non ti permettere!”.
“Sono un ladro sì, un ladro di bellezza” spiegò lentamente l'uomo. “Sono la tua anima invecchiata che tiene in catene il bambino dentro di te, lo rende cieco alla bellezza che ha intorno”.
“E le rose? Perché si ostina a tagliare le mie rose?” chiese tremante Onofrio.
“Le rose sono l'Adesso che perdi, sono i rapporti che ogni giorno tu recidi. Io di notte faccio solo quello che tu ti ostini a fare di giorno”.

Onofrio, quasi di scatto, prese al vecchio la forbice e tagliò il laccio scuro che teneva bloccato il bambino. In un istante fermo, una luce particolare tornò al fanciullo negli occhi, che prima erano completamente bianchi.
“Vai” gli disse Onofrio “vai, libero”.
“Così sia” fece eco il vecchio.
“Tieni” disse il bimbo ad Onofrio, “è per te”.

La mattina seguente Onofrio si svegliò nel letto, tutto infreddolito e sporco di terra. Aveva qualcosa nella mano: un seme. Andò in bagno, si rasò la barba trasandata, pettinò la punta dei baffi leggermente all'insù e mise un bell'abito colorato. Corse giù in giardino, aprì la porta di legno e vide che le rose c'erano tutte, splendenti, bellissime. Quasi commosso, vicino alle rose, piantò con molta cura il suo nuovo seme. Fu in quel momento che il postino suonò con discrezione alla porta.
“Signor De Pretis, scusi il disturbo, me ne vado subito, c'è una raccomandata per lei”.

“Che piacere vederla, Claudio! Ha tempo di prendere un bicchierino con me o è troppo di fretta per la consegna delle lettere? Mi piacerebbe farle vedere il mio roseto, lo curavo sempre con mia moglie, c'è anche dell'ombra se vuole riposarsi cinque minuti” disse Onofrio e in quel momento sorrise. Con uno di quei sorrisi che si apre dopo tanto. Come la rosa più preziosa. 


© Fabio Castano

Novella vincitrice della II edizione del Concorso letterario Mirella Ardy di Sestri Levante.  
 

venerdì 31 gennaio 2014

Nel falò delle meraviglie

Fiocchi di silenzio
modulano
sentimenti d'attesa.

Mentre la pioggia
batte
sui tasti del cuore,
con soffice fragore.

E si propaga
il fuoco
dell'attimo
profondamente presente.

Accogli
venti di velluto
in strade perse
di praterie incerte,
e ritrovate qua,
vicino a te.

T'appoggi
al silenzio animale
del cielo
che bacia il mare.

Tra coriandoli
di granito
t'accucci
nella notte.

D'inchiostro notturno
scrivi
frasi di luce.

31/01/14


© Fabio Castano  

sabato 4 gennaio 2014

Il pescatore di metafore

                                                                            


In un viaggio             spericolato
dentro il cuore
partito
dalla landa
desolata
del dolore,
scorsi un albero
di fuoco
e il cielo verde.
Le radici
resistevano
agli errori accumulati
senza volerlo
nella mente.

Poi di luci
spalmate
sull'asfalto
in un quadro urbano
fluido
mi si aprì
una verità
nell'attimo
senza tempo.

Un reticolo
di bene,
una coperta di tepore,
il mare
nell'anima
che non se ne va.

A riva
guardo dentro,
con la canna
dell'immaginazione
cerco di pescare
nelle profondità
di noi
immagini
di infiniti
possibili.

Sul navigatore
ho scritto
Località: silenzio.

Mentre le stelle
sostengono il cielo:
son mille occhi
di luce suadente
e ci guardano,
materne.



04/01/14



© Fabio Castano  

mercoledì 1 gennaio 2014

UN TESSUTO D'AMORE PER JEFTE


Un'adozione a distanza, per come la sento io, è come un filo d'oro lanciato da quello spazio silenzioso del cuore verso un paese lontano, il Congo questa volta, verso la vita apparentemente distante di un bimbo, verso i suoi occhi dolci, e la sua anima piena di talento. Sono convinto che ognuno di noi abbia dentro un talento grande e unico che, messo nelle condizioni giuste, possa sbocciare e portare beneficio al mondo intero. Ecco: pensare che con una piccola somma di denaro (per il nostro mondo) si possa dare luce per un anno sia a livello scolastico sia a livello sanitario ad un'anima dell' “altro mondo” non può che
farmi sentire bene, e farmi tornare in mente il motto che cerco di utilizzare sempre più spesso nelle mie giornate, in diverse situazioni: Fare del bene, fa bene (a noi e agli altri!).
La storia che volevo raccontare qui è un po' speciale. Ha come protagoniste la sincronicità, la speranza e la bellezza: tutti ingredienti perfetti non solo nel periodo delle feste.
Qualche giorno fa stavo tenendo il mio solito laboratorio artistico del martedì mattina alle signore delle casa di riposo in cui lavoro come animatore. Non so esattamente perché o spinto da cosa -forse nel cuore avevo ancora un velo d'emozione per aver rinnovato la sera prima l'adozione di Gemima- sta di fatto che inizio a raccontare del progetto di Non Basta un Sorriso alle persone presenti. Il vice presidente dei volontari della nostra struttura, Remo, si illumina, ma rimane in silenzio in quel momento.
Poche ore dopo mi ferma nei corridoi e mi dice: “Stamattina hai raccontato una cosa bellissima. Era da un po' che con le signore volevo usare i soldi del nostro mercatino per un'opera di beneficenza, e le tue parole mi hanno colpito”.
Ecco la sincronicità: lancia una domanda al cielo, credici, e una risposta non tarderà ad arrivare.
Da lì la catena di eventi è stata molto rapida. Ho spiegato la situazione a Lucia che ha trovato subito un bimbo da adottare. Masala Jefte ora ha la possibilità di studiare e curarsi per un anno, oltre che una decina di nonne a distanza: Fernanda (78 anni), Maria (88 anni), Ebe (88 anni), Angela (92 anni), Teresa (82 anni) e anche Gabriela, Nilde, Luigia, Antonio, Irma. E Carla che purtroppo non c'è più, ma avrebbe certamente partecipato con un sorriso da orecchio ad orecchio a questa iniziativa.

L'ultimo giorno dell'anno ci siamo ritrovati tutti in salone. Abbiamo creato un piccolo cerchio di carrozzine e abbiamo fatto due chiacchiere. Ho letto alle signore la scheda di adozione di Jefte, che nel frattempo era arrivata per posta. “Il suo piatto preferito è il riso, il suo colore preferito il rosso e sogna di fare il falegname”. Le ospiti mi seguivano con attenzione e con una sguardo amorevole, come solo delle vere nonne sanno fare. E infatti quando ho letto: “Le mie mamme a distanza sono: Le Ospiti del Camelot”, subito mi hanno ripreso: “Ma noi siamo le sue nonne!”.


Dalla nostra casa di riposo di Gallarate (Va) sono stati lanciati tanti fili d'oro: tutti insieme formeranno un reticolo di luce, un tessuto d'amore con il quale il piccolo Jefte si potrà scaldare. Sperando che con quel tepore venuto da lontano sappia mettere a frutto il suo talento unico e speciale: sogniamo che un giorno possa lavorare il legno, fare piccoli e grandi capolavori, come il suo cuore ora gli sta già indicando.

domenica 15 dicembre 2013

La strada meno battuta

Cinema (di) versi

Recital di Poesia










Martedì 10 DICEMBRE 2013

ore 16:30


Questa è la copertina del recital di poesie che si è 
svolto martedì scorso presso la casa di riposo dove 
lavoro. Ci siamo preparati per questo momento per 
oltre due mesi, dalla metà di ottobre, e finalmente 
martedì siamo arrivati a questa tappa importante. 
Le mie poetesse e i mie poeti "diversamente giovani" 
si sono comportati alla grande, la lettura dei testi 
poetici è stata molto toccante e gli applausi 
non sono mancati. Il momento più emozionante 
è stato forse quello in cui ho dedicato la poesia 
La strada meno battuta alla signora Carla che aveva 
iniziato con noi il laboratorio, che leggeva la poesia 
molto bene, ma che purtroppo abbiamo dovuto 
salutare improvvisamente qualche settimana fa. 
Per lei, per salutarla di nuovo metto di seguito 
il testo del poeta americano Robert Frost, 
citato anche nel film L'Attimo fuggente.













LA STRADA MENO BATTUTA  


Divergevano due strade in un bosco ingiallito,
e spiacente di non poterle percorrere entrambe
essendo io un solo viaggiatore, a lungo mi fermai
scrutando finché potei una di esse
là dove in mezzo agli arbusti svoltava.

Poi, presi l’altra, che era buona ugualmente
e aveva forse le condizioni migliori
perché era erbosa e poco segnata;
Benché, in fondo, il passare della gente
le avesse davvero rese simili,

nessuna delle due quella mattina mostrava
sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo.
Oh, quell'altra la tenni per un altro giorno!
Pur sapendo bene che una strada porta ad un'altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Questa storia racconterò con un sospiro
chissà dove tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io…..
io presi la meno battuta,
e da lì tutta la differenza è venuta.

Robert Frost


Ciao cara Carla, e grazie per i tuoi insegnamenti silenziosi: il sorriso,
la gentilezza e la disponibilità che avevi sempre con me e con tutti.

Questo era il tuo modo di prendere, ogni giorno, la strada meno battuta.


Aggiungo qui il momento de L'Attimo fuggente in cui la poesia
viene citata. Clicca qui.

sabato 7 dicembre 2013

La storia del borgo antico

                                                                                   
      

Nel borgo antico
ci si sveglia prima che il sole nasca.
Si aprono le finestre della casa grande,
il gallo canta, lontano.
La nonna prende un uovo fresco dal pollaio,
lo sbatte con lo zucchero.
E accende il fuoco per scaldare l'acqua.
Il bimbo esce con la mamma,
con le manine rosa tocca l'erba viva,
sfumata di rugiada.

Nel borgo antico
si va alla terra,
a muoverla, sollevarla, carezzarla e distruggerla
prima che il sole salga potente.
Il bimbo cresce,
vede il suo corpo mutare: ha dei peli in posti ridicoli, inimmaginabili.
E anche la voce fa su e giù nei toni, come un grammofono gracchiante.

Nel borgo antico
le donne cucinano
sognano desiderano e amano.
Parlano, con le mani immerse nell'acqua gelida del lavatoio.
Il giovane sta diventando un uomo:
quando passa le donne si voltano facendo l'occhiolino.

Nel borgo antico
le strade hanno quell'odore di sasso,
di muschio, di pane caldo.
L'uomo bello, forte, lavora tutto il giorno
e una notte si innamora.
Di quella bambina gracilina divenuta un fiore rosso di passione.

L'amore, la carne, il sudore, la paura,
le labbra bagnate,
il movimento che fluttua in potenzialità creative.
Una nuova vita in un grembo giovane
si crea in un istante: infinito.

È in un letto di una casa ruvida
nel borgo antico
che la mamma dell'uomo si spegne
accendendo in lui uno strazio ancestrale,
d'animale ferito e perso.

Nel borgo antico
il silenzio è freddo e spesso.
L'uomo se n'è andato per fuggire
dalla fiamma del dolore che cresce dentro.

Una mattina d'estate
nel borgo antico
fa ritorno un essere che ha compreso chi è.
Un uomo che ha ricucito i suoi brandelli d'anima.
E il dolore da nemico s'è fatto maestro.

Nel borgo antico
la vita ricomincia
prima che il sole salga maestoso.
L'uomo, ormai anziano,
fa sedere suo figlio sull'erba sfumata di rugiada.
E inizia a raccontare:
la storia del borgo antico.



12/08/2011


dal libro Luce nel Silenzio 


(in vendita presso la libreria Biblos di Gallarate)


© Fabio Castano

lunedì 2 dicembre 2013

I Fiumi


Seduto in un banco troppo piccolo per me, circa a metà della classe, ero in seconda o terza media: rimasi folgorato. Lessi una poesia di Ungaretti, poi ne lessi un'altra. Un'altra ancora. C'era qualcosa di speciale in quei segni scarni, in quei versi composti da pochissime parole, senza punteggiatura, senza fronzoli, che ti dicevano tanto, con quattro suoni ti dicevano tutto. C'era la semplicità: quella che tende all'infinito. Faccio risalire a quel preciso istante, nitido nella mia mente, mentre la professoressa ci diceva di aprire il libro proprio a quella pagina che mi stava aspettando, il momento in cui qualcosa si mosse, e il canale comunicativo della scrittura si risvegliò in me, diventando fondamentale. Provai a casa, qualche giorno dopo, con una penna cancellabile blu a scrivere qualcosa di incerto. La mia anima stava iniziando a esprimersi.

E questa mattina, nel laboratorio di poesia che tengo, ho letto con
Il maestoso Nilo
tutta la passione che potevo alle mie studentesse “giovani dentro” questa meraviglia che Ungaretti scrisse in una dolina carsica, in Friuli Venezia Giulia, a Cotici, vicino a San Martino del Carso.




I FIUMI


Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna


Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato


L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua


Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole


Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo


Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia


Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità


Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita


Questi sono
I miei fiumi


Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.


Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure


Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto


Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo


Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre


Cotici il 16 agosto 1916



Il giovane soldato semplice Ungaretti, a 28 anni, fa parte delle truppe di trincee dislocate nella zona carsica intorno a Gorizia, più precisamente a San Martino del Carso. In un momento di pausa nelle operazioni militari prende il taccuino e inizia a scrivere. La mattina aveva bagnato le membra stanche e provate dalla guerra nelle acque dolci del fiume Isonzo. Quel momento di apertura e di fusione con la natura (Mi sono riconosciuto/ una docile fibra/ dell’universo) lo porta a viaggiare nei ricordi di questa sua prima parte di vita, e le acque del fiume in cui è immerso diventano quelle del Serchio, fiume toscano che scorre vicino a Lucca, città natale dei genitori del poeta. Sulla sua pelle sente le acqua del Nilo, fiume della sua infanzia (Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, suo padre era emigrato lì come operaio alla costruzione del Canale di Suez), e quelle della Senna, fiume della città a cui Ungaretti deve la sua crescita e formazione culturale. E infine di nuovo l'Isonzo, nel presente fosco della guerra così atroce e inutile. Sono sicuro che ognuno di voi potrebbe sostituire ai fiumi del poeta, tre o quattro luoghi fondamentali, tre o quattro città, tre o quattro viaggi che l'hanno cambiato e sono rimasti impressi nell'anima? Volete provare a giocare con i ricordi fino a rafforzare il momento presente?