Cinema (di)
versi
|
Recital
di Poesia
|
Martedì 10 DICEMBRE 2013
ore
16:30
Questa è la copertina del recital di poesie che si è
svolto martedì scorso presso la casa di riposo dove
lavoro. Ci siamo preparati per questo momento per
oltre due mesi, dalla metà di ottobre, e finalmente
martedì siamo arrivati a questa tappa importante.
Le mie poetesse e i mie poeti "diversamente giovani"
si sono comportati alla grande, la lettura dei testi
poetici è stata molto toccante e gli applausi
non sono mancati. Il momento più emozionante
è stato forse quello in cui ho dedicato la poesia
La strada meno battuta alla signora Carla che aveva
iniziato con noi il laboratorio, che leggeva la poesia
molto bene, ma che purtroppo abbiamo dovuto
salutare improvvisamente qualche settimana fa.
Per lei, per salutarla di nuovo metto di seguito
il testo del poeta americano Robert Frost,
citato anche nel film L'Attimo fuggente.
LA STRADA MENO BATTUTA Divergevano due strade in un bosco ingiallito, e spiacente di non poterle percorrere entrambe essendo io un solo viaggiatore, a lungo mi fermai scrutando finché potei una di esse là dove in mezzo agli arbusti svoltava. Poi, presi l’altra, che era buona ugualmente e aveva forse le condizioni migliori perché era erbosa e poco segnata; Benché, in fondo, il passare della gente le avesse davvero rese simili, nessuna delle due quella mattina mostrava sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo. Oh, quell'altra la tenni per un altro giorno! Pur sapendo bene che una strada porta ad un'altra, dubitavo se mai sarei tornato indietro. Questa storia racconterò con un sospiro chissà dove tra anni e anni: due strade divergevano in un bosco, e io….. io presi la meno battuta, e da lì tutta la differenza è venuta. Robert Frost Ciao cara Carla, e grazie per i tuoi insegnamenti silenziosi: il sorriso, la gentilezza e la disponibilità che avevi sempre con me e con tutti. Questo era il tuo modo di prendere, ogni giorno, la strada meno battuta. Aggiungo qui il momento de L'Attimo fuggente in cui la poesia viene citata. Clicca qui. |
domenica 15 dicembre 2013
La strada meno battuta
sabato 7 dicembre 2013
La storia del borgo antico
Nel
borgo antico
ci
si sveglia prima che il sole nasca.
Si
aprono le finestre della casa grande,
il
gallo canta, lontano.
La
nonna prende un uovo fresco dal pollaio,
lo
sbatte con lo zucchero.
E
accende il fuoco per scaldare l'acqua.
Il
bimbo esce con la mamma,
con
le manine rosa tocca l'erba viva,
sfumata
di rugiada.
Nel
borgo antico
si
va alla terra,
a
muoverla, sollevarla, carezzarla e distruggerla
prima
che il sole salga potente.
Il
bimbo cresce,
vede
il suo corpo mutare: ha dei peli in posti ridicoli, inimmaginabili.
E
anche la voce fa su e giù nei toni, come un grammofono gracchiante.
Nel
borgo antico
le
donne cucinano
sognano
desiderano e amano.
Parlano,
con le mani immerse nell'acqua gelida del lavatoio.
Il
giovane sta diventando un uomo:
quando
passa le donne si voltano facendo l'occhiolino.
Nel
borgo antico
le
strade hanno quell'odore di sasso,
di
muschio, di pane caldo.
L'uomo
bello, forte, lavora tutto il giorno
e
una notte si innamora.
Di
quella bambina gracilina divenuta un fiore rosso di passione.
L'amore,
la carne, il sudore, la paura,
le
labbra bagnate,
il
movimento che fluttua in potenzialità creative.
Una
nuova vita in un grembo giovane
si
crea in un istante: infinito.
È
in un letto di una casa ruvida
nel
borgo antico
che
la mamma dell'uomo si spegne
accendendo
in lui uno strazio ancestrale,
d'animale
ferito e perso.
Nel
borgo antico
il
silenzio è freddo e spesso.
L'uomo
se n'è andato per fuggire
dalla
fiamma del dolore che cresce dentro.
Una
mattina d'estate
nel
borgo antico
fa
ritorno un essere che ha compreso chi è.
Un
uomo che ha ricucito i suoi brandelli d'anima.
E
il dolore da nemico s'è fatto maestro.
Nel
borgo antico
la
vita ricomincia
prima
che il sole salga maestoso.
L'uomo,
ormai anziano,
fa
sedere suo figlio sull'erba sfumata di rugiada.
E
inizia a raccontare:
la
storia del borgo antico.
12/08/2011
dal libro Luce nel Silenzio
(in vendita presso la libreria Biblos di Gallarate)
©
Fabio Castano
lunedì 2 dicembre 2013
I Fiumi
Seduto in un banco troppo piccolo per me, circa a metà della classe, ero in seconda o terza media: rimasi folgorato. Lessi una poesia di Ungaretti, poi ne lessi un'altra. Un'altra ancora. C'era qualcosa di speciale in quei segni scarni, in quei versi composti da pochissime parole, senza punteggiatura, senza fronzoli, che ti dicevano tanto, con quattro suoni ti dicevano tutto. C'era la semplicità: quella che tende all'infinito. Faccio risalire a quel preciso istante, nitido nella mia mente, mentre la professoressa ci diceva di aprire il libro proprio a quella pagina che mi stava aspettando, il momento in cui qualcosa si mosse, e il canale comunicativo della scrittura si risvegliò in me, diventando fondamentale. Provai a casa, qualche giorno dopo, con una penna cancellabile blu a scrivere qualcosa di incerto. La mia anima stava iniziando a esprimersi.
E questa mattina, nel laboratorio di poesia che tengo, ho letto con
Il maestoso Nilo |
I FIUMI
Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato
L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua
Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole
Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo
Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia
Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità
Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita
Questi sono
I miei fiumi
Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure
Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre
Cotici il 16 agosto 1916
Il giovane soldato semplice Ungaretti, a 28 anni, fa parte delle truppe di trincee dislocate nella zona carsica intorno a Gorizia, più precisamente a San Martino del Carso. In un momento di pausa nelle operazioni militari prende il taccuino e inizia a scrivere. La mattina aveva bagnato le membra stanche e provate dalla guerra nelle acque dolci del fiume Isonzo. Quel momento di apertura e di fusione con la natura (Mi sono riconosciuto/ una docile fibra/ dell’universo) lo porta a viaggiare nei ricordi di questa sua prima parte di vita, e le acque del fiume in cui è immerso diventano quelle del Serchio, fiume toscano che scorre vicino a Lucca, città natale dei genitori del poeta. Sulla sua pelle sente le acqua del Nilo, fiume della sua infanzia (Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, suo padre era emigrato lì come operaio alla costruzione del Canale di Suez), e quelle della Senna, fiume della città a cui Ungaretti deve la sua crescita e formazione culturale. E infine di nuovo l'Isonzo, nel presente fosco della guerra così atroce e inutile. Sono sicuro che ognuno di voi potrebbe sostituire ai fiumi del poeta, tre o quattro luoghi fondamentali, tre o quattro città, tre o quattro viaggi che l'hanno cambiato e sono rimasti impressi nell'anima? Volete provare a giocare con i ricordi fino a rafforzare il momento presente?
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