domenica 15 dicembre 2013

La strada meno battuta

Cinema (di) versi

Recital di Poesia










Martedì 10 DICEMBRE 2013

ore 16:30


Questa è la copertina del recital di poesie che si è 
svolto martedì scorso presso la casa di riposo dove 
lavoro. Ci siamo preparati per questo momento per 
oltre due mesi, dalla metà di ottobre, e finalmente 
martedì siamo arrivati a questa tappa importante. 
Le mie poetesse e i mie poeti "diversamente giovani" 
si sono comportati alla grande, la lettura dei testi 
poetici è stata molto toccante e gli applausi 
non sono mancati. Il momento più emozionante 
è stato forse quello in cui ho dedicato la poesia 
La strada meno battuta alla signora Carla che aveva 
iniziato con noi il laboratorio, che leggeva la poesia 
molto bene, ma che purtroppo abbiamo dovuto 
salutare improvvisamente qualche settimana fa. 
Per lei, per salutarla di nuovo metto di seguito 
il testo del poeta americano Robert Frost, 
citato anche nel film L'Attimo fuggente.













LA STRADA MENO BATTUTA  


Divergevano due strade in un bosco ingiallito,
e spiacente di non poterle percorrere entrambe
essendo io un solo viaggiatore, a lungo mi fermai
scrutando finché potei una di esse
là dove in mezzo agli arbusti svoltava.

Poi, presi l’altra, che era buona ugualmente
e aveva forse le condizioni migliori
perché era erbosa e poco segnata;
Benché, in fondo, il passare della gente
le avesse davvero rese simili,

nessuna delle due quella mattina mostrava
sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo.
Oh, quell'altra la tenni per un altro giorno!
Pur sapendo bene che una strada porta ad un'altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Questa storia racconterò con un sospiro
chissà dove tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io…..
io presi la meno battuta,
e da lì tutta la differenza è venuta.

Robert Frost


Ciao cara Carla, e grazie per i tuoi insegnamenti silenziosi: il sorriso,
la gentilezza e la disponibilità che avevi sempre con me e con tutti.

Questo era il tuo modo di prendere, ogni giorno, la strada meno battuta.


Aggiungo qui il momento de L'Attimo fuggente in cui la poesia
viene citata. Clicca qui.

sabato 7 dicembre 2013

La storia del borgo antico

                                                                                   
      

Nel borgo antico
ci si sveglia prima che il sole nasca.
Si aprono le finestre della casa grande,
il gallo canta, lontano.
La nonna prende un uovo fresco dal pollaio,
lo sbatte con lo zucchero.
E accende il fuoco per scaldare l'acqua.
Il bimbo esce con la mamma,
con le manine rosa tocca l'erba viva,
sfumata di rugiada.

Nel borgo antico
si va alla terra,
a muoverla, sollevarla, carezzarla e distruggerla
prima che il sole salga potente.
Il bimbo cresce,
vede il suo corpo mutare: ha dei peli in posti ridicoli, inimmaginabili.
E anche la voce fa su e giù nei toni, come un grammofono gracchiante.

Nel borgo antico
le donne cucinano
sognano desiderano e amano.
Parlano, con le mani immerse nell'acqua gelida del lavatoio.
Il giovane sta diventando un uomo:
quando passa le donne si voltano facendo l'occhiolino.

Nel borgo antico
le strade hanno quell'odore di sasso,
di muschio, di pane caldo.
L'uomo bello, forte, lavora tutto il giorno
e una notte si innamora.
Di quella bambina gracilina divenuta un fiore rosso di passione.

L'amore, la carne, il sudore, la paura,
le labbra bagnate,
il movimento che fluttua in potenzialità creative.
Una nuova vita in un grembo giovane
si crea in un istante: infinito.

È in un letto di una casa ruvida
nel borgo antico
che la mamma dell'uomo si spegne
accendendo in lui uno strazio ancestrale,
d'animale ferito e perso.

Nel borgo antico
il silenzio è freddo e spesso.
L'uomo se n'è andato per fuggire
dalla fiamma del dolore che cresce dentro.

Una mattina d'estate
nel borgo antico
fa ritorno un essere che ha compreso chi è.
Un uomo che ha ricucito i suoi brandelli d'anima.
E il dolore da nemico s'è fatto maestro.

Nel borgo antico
la vita ricomincia
prima che il sole salga maestoso.
L'uomo, ormai anziano,
fa sedere suo figlio sull'erba sfumata di rugiada.
E inizia a raccontare:
la storia del borgo antico.



12/08/2011


dal libro Luce nel Silenzio 


(in vendita presso la libreria Biblos di Gallarate)


© Fabio Castano

lunedì 2 dicembre 2013

I Fiumi


Seduto in un banco troppo piccolo per me, circa a metà della classe, ero in seconda o terza media: rimasi folgorato. Lessi una poesia di Ungaretti, poi ne lessi un'altra. Un'altra ancora. C'era qualcosa di speciale in quei segni scarni, in quei versi composti da pochissime parole, senza punteggiatura, senza fronzoli, che ti dicevano tanto, con quattro suoni ti dicevano tutto. C'era la semplicità: quella che tende all'infinito. Faccio risalire a quel preciso istante, nitido nella mia mente, mentre la professoressa ci diceva di aprire il libro proprio a quella pagina che mi stava aspettando, il momento in cui qualcosa si mosse, e il canale comunicativo della scrittura si risvegliò in me, diventando fondamentale. Provai a casa, qualche giorno dopo, con una penna cancellabile blu a scrivere qualcosa di incerto. La mia anima stava iniziando a esprimersi.

E questa mattina, nel laboratorio di poesia che tengo, ho letto con
Il maestoso Nilo
tutta la passione che potevo alle mie studentesse “giovani dentro” questa meraviglia che Ungaretti scrisse in una dolina carsica, in Friuli Venezia Giulia, a Cotici, vicino a San Martino del Carso.




I FIUMI


Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna


Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato


L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua


Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole


Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo


Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia


Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità


Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita


Questi sono
I miei fiumi


Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.


Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure


Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto


Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo


Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre


Cotici il 16 agosto 1916



Il giovane soldato semplice Ungaretti, a 28 anni, fa parte delle truppe di trincee dislocate nella zona carsica intorno a Gorizia, più precisamente a San Martino del Carso. In un momento di pausa nelle operazioni militari prende il taccuino e inizia a scrivere. La mattina aveva bagnato le membra stanche e provate dalla guerra nelle acque dolci del fiume Isonzo. Quel momento di apertura e di fusione con la natura (Mi sono riconosciuto/ una docile fibra/ dell’universo) lo porta a viaggiare nei ricordi di questa sua prima parte di vita, e le acque del fiume in cui è immerso diventano quelle del Serchio, fiume toscano che scorre vicino a Lucca, città natale dei genitori del poeta. Sulla sua pelle sente le acqua del Nilo, fiume della sua infanzia (Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, suo padre era emigrato lì come operaio alla costruzione del Canale di Suez), e quelle della Senna, fiume della città a cui Ungaretti deve la sua crescita e formazione culturale. E infine di nuovo l'Isonzo, nel presente fosco della guerra così atroce e inutile. Sono sicuro che ognuno di voi potrebbe sostituire ai fiumi del poeta, tre o quattro luoghi fondamentali, tre o quattro città, tre o quattro viaggi che l'hanno cambiato e sono rimasti impressi nell'anima? Volete provare a giocare con i ricordi fino a rafforzare il momento presente?