Quando
faccio il laboratorio di poesia al giovedì mattina con le mie
signore “diversamente giovani” e arriviamo alla lettura del testo di Nazim Hikmet In questa notte d'autunno mi
viene posta spesso, da persone diverse, la stessa domanda: “Cosa
significa l'ultimo verso? Le tue parole/ erano uomini”. La bellezza
della poesia sta proprio lì, nel non trovare forzatamente una
risposta, ma nel sentire quale risposta può essere adatta per te, in
quel momento. Tutta la poesia racconta la forza della parola, come la
parola possa essere veicolo di emozioni o di espressione di ciò che
siamo e vorremmo essere. E allora la parola può essere madre, amica,
può essere triste o allegra. Può essere uomo, donna, bambino, può
essere l'energia irradiante con cui vogliamo comunicare al mondo il
nostro esistere e il nostro amare. La parola può essere
consapevolezza, se indagata nel profondo: posso pronunciare la parola
Mani così, come un involucro superficiale e troppo conosciuto. O,
d'altro canto, con questo suono posso poggiare la mia attenzione alle
mani, far trasferire lì la mia anima per un po', toccarle,
coccolarle, da fuori come da dentro. E ritorno. Sentite la forza e la
fragranza delle parole del poeta turco.
1948
In
questa notte d'autunno
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini
N.
Hikmet
Era
il 1948. Hikmet era rinchiuso da dieci anni in una prigione
dell'Anatolia per le sue idee politiche contrarie a quelle del
governo turco. Era stato condannato a ventotto anni di carcere, ne
scontò dodici, e uscì di prigione nel 1950. Scrisse questa poesia
due anni prima di tornare in libertà. Il non tradire le sue parole e
quello in cui credeva l'aveva privato della libertà esteriore. Ma in questo moto di resistenza, accettazione e bellezza, anche lì,
dietro le sbarre, il suo cuore poteva solo volare libero nella
bellezza del creato. E le parole erano ali.
La
poesia è recitata da Margherita Buy in questo frammento del film Le
Fate Ignoranti, del regista turco Ferzan Ozpetek. Clicca sotto.
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