Cinema (di)
versi
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Recital
di Poesia
|
Martedì 10 DICEMBRE 2013
ore
16:30
Questa è la copertina del recital di poesie che si è
svolto martedì scorso presso la casa di riposo dove
lavoro. Ci siamo preparati per questo momento per
oltre due mesi, dalla metà di ottobre, e finalmente
martedì siamo arrivati a questa tappa importante.
Le mie poetesse e i mie poeti "diversamente giovani"
si sono comportati alla grande, la lettura dei testi
poetici è stata molto toccante e gli applausi
non sono mancati. Il momento più emozionante
è stato forse quello in cui ho dedicato la poesia
La strada meno battuta alla signora Carla che aveva
iniziato con noi il laboratorio, che leggeva la poesia
molto bene, ma che purtroppo abbiamo dovuto
salutare improvvisamente qualche settimana fa.
Per lei, per salutarla di nuovo metto di seguito
il testo del poeta americano Robert Frost,
citato anche nel film L'Attimo fuggente.
LA STRADA MENO BATTUTA Divergevano due strade in un bosco ingiallito, e spiacente di non poterle percorrere entrambe essendo io un solo viaggiatore, a lungo mi fermai scrutando finché potei una di esse là dove in mezzo agli arbusti svoltava. Poi, presi l’altra, che era buona ugualmente e aveva forse le condizioni migliori perché era erbosa e poco segnata; Benché, in fondo, il passare della gente le avesse davvero rese simili, nessuna delle due quella mattina mostrava sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo. Oh, quell'altra la tenni per un altro giorno! Pur sapendo bene che una strada porta ad un'altra, dubitavo se mai sarei tornato indietro. Questa storia racconterò con un sospiro chissà dove tra anni e anni: due strade divergevano in un bosco, e io….. io presi la meno battuta, e da lì tutta la differenza è venuta. Robert Frost Ciao cara Carla, e grazie per i tuoi insegnamenti silenziosi: il sorriso, la gentilezza e la disponibilità che avevi sempre con me e con tutti. Questo era il tuo modo di prendere, ogni giorno, la strada meno battuta. Aggiungo qui il momento de L'Attimo fuggente in cui la poesia viene citata. Clicca qui. |
domenica 15 dicembre 2013
La strada meno battuta
sabato 7 dicembre 2013
La storia del borgo antico
Nel
borgo antico
ci
si sveglia prima che il sole nasca.
Si
aprono le finestre della casa grande,
il
gallo canta, lontano.
La
nonna prende un uovo fresco dal pollaio,
lo
sbatte con lo zucchero.
E
accende il fuoco per scaldare l'acqua.
Il
bimbo esce con la mamma,
con
le manine rosa tocca l'erba viva,
sfumata
di rugiada.
Nel
borgo antico
si
va alla terra,
a
muoverla, sollevarla, carezzarla e distruggerla
prima
che il sole salga potente.
Il
bimbo cresce,
vede
il suo corpo mutare: ha dei peli in posti ridicoli, inimmaginabili.
E
anche la voce fa su e giù nei toni, come un grammofono gracchiante.
Nel
borgo antico
le
donne cucinano
sognano
desiderano e amano.
Parlano,
con le mani immerse nell'acqua gelida del lavatoio.
Il
giovane sta diventando un uomo:
quando
passa le donne si voltano facendo l'occhiolino.
Nel
borgo antico
le
strade hanno quell'odore di sasso,
di
muschio, di pane caldo.
L'uomo
bello, forte, lavora tutto il giorno
e
una notte si innamora.
Di
quella bambina gracilina divenuta un fiore rosso di passione.
L'amore,
la carne, il sudore, la paura,
le
labbra bagnate,
il
movimento che fluttua in potenzialità creative.
Una
nuova vita in un grembo giovane
si
crea in un istante: infinito.
È
in un letto di una casa ruvida
nel
borgo antico
che
la mamma dell'uomo si spegne
accendendo
in lui uno strazio ancestrale,
d'animale
ferito e perso.
Nel
borgo antico
il
silenzio è freddo e spesso.
L'uomo
se n'è andato per fuggire
dalla
fiamma del dolore che cresce dentro.
Una
mattina d'estate
nel
borgo antico
fa
ritorno un essere che ha compreso chi è.
Un
uomo che ha ricucito i suoi brandelli d'anima.
E
il dolore da nemico s'è fatto maestro.
Nel
borgo antico
la
vita ricomincia
prima
che il sole salga maestoso.
L'uomo,
ormai anziano,
fa
sedere suo figlio sull'erba sfumata di rugiada.
E
inizia a raccontare:
la
storia del borgo antico.
12/08/2011
dal libro Luce nel Silenzio
(in vendita presso la libreria Biblos di Gallarate)
©
Fabio Castano
lunedì 2 dicembre 2013
I Fiumi
Seduto in un banco troppo piccolo per me, circa a metà della classe, ero in seconda o terza media: rimasi folgorato. Lessi una poesia di Ungaretti, poi ne lessi un'altra. Un'altra ancora. C'era qualcosa di speciale in quei segni scarni, in quei versi composti da pochissime parole, senza punteggiatura, senza fronzoli, che ti dicevano tanto, con quattro suoni ti dicevano tutto. C'era la semplicità: quella che tende all'infinito. Faccio risalire a quel preciso istante, nitido nella mia mente, mentre la professoressa ci diceva di aprire il libro proprio a quella pagina che mi stava aspettando, il momento in cui qualcosa si mosse, e il canale comunicativo della scrittura si risvegliò in me, diventando fondamentale. Provai a casa, qualche giorno dopo, con una penna cancellabile blu a scrivere qualcosa di incerto. La mia anima stava iniziando a esprimersi.
E questa mattina, nel laboratorio di poesia che tengo, ho letto con
Il maestoso Nilo |
I FIUMI
Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato
L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua
Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole
Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo
Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia
Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità
Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita
Questi sono
I miei fiumi
Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure
Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre
Cotici il 16 agosto 1916
Il giovane soldato semplice Ungaretti, a 28 anni, fa parte delle truppe di trincee dislocate nella zona carsica intorno a Gorizia, più precisamente a San Martino del Carso. In un momento di pausa nelle operazioni militari prende il taccuino e inizia a scrivere. La mattina aveva bagnato le membra stanche e provate dalla guerra nelle acque dolci del fiume Isonzo. Quel momento di apertura e di fusione con la natura (Mi sono riconosciuto/ una docile fibra/ dell’universo) lo porta a viaggiare nei ricordi di questa sua prima parte di vita, e le acque del fiume in cui è immerso diventano quelle del Serchio, fiume toscano che scorre vicino a Lucca, città natale dei genitori del poeta. Sulla sua pelle sente le acqua del Nilo, fiume della sua infanzia (Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, suo padre era emigrato lì come operaio alla costruzione del Canale di Suez), e quelle della Senna, fiume della città a cui Ungaretti deve la sua crescita e formazione culturale. E infine di nuovo l'Isonzo, nel presente fosco della guerra così atroce e inutile. Sono sicuro che ognuno di voi potrebbe sostituire ai fiumi del poeta, tre o quattro luoghi fondamentali, tre o quattro città, tre o quattro viaggi che l'hanno cambiato e sono rimasti impressi nell'anima? Volete provare a giocare con i ricordi fino a rafforzare il momento presente?
giovedì 28 novembre 2013
Che bei capelli
Persa nella malattia
di Alzheimer,immersa in uno spazio
troppo grande,
troppo piccolo,
ti muovi
a scatti
a volte
e poi rallenti.
Sei, non sei.
In questa fusione
di ricordi
magmatici e
mobili,
mi avvicino.
Contatto i tuoi occhi.
Sento la tua mano:
calda.
Mi sorridi e mi dici
“Che bei capelli”.
C'è un barlume accennato
di vita silenziosa.
La luce è più forte
quando
non te l'aspetti.
©
Fabio Castano
lunedì 25 novembre 2013
Il piumino del nonno
La neve
scendeva in forme fluide. La cena natalizia stava per iniziare, la
casa era un formicaio gioioso. Il camino
scoppiettava e lasciava
uscire capriole di fumo. Nonna Nora aveva notato che l'unico a non
muoversi era il piccolo Martino che, da quando aveva iniziato a
nevicare, stava davanti al finestrone del salotto ad osservare lo
spazio lì davanti.
«Nonna,
mi serve il piumino caldo, di nonno Armando» disse Martino,
avvicinandosi ai fornelli e tirandole la gonna.
«È di
là sul letto, ma hai freddo?».
«No,
non io».
Il bimbo
sparì per un po'. La nonna sentiva i suoi passi leggeri. La porta si
aprì, si chiuse, una lama di freddo entrò.
All'apertura
dei regali, sotto l'albero, Nora guardò fuori dalla finestra.
C'erano
i due pupazzi di neve più vicini di come li ricordava. I rami si
toccavano in un abbraccio. Lì vicino un regalo. E sulle spalle
avevano il piumino del nonno.
©
Fabio Castano
Guarda anche il dolcissimo spot di John Lewis. Clicca sotto.
domenica 24 novembre 2013
In questa notte d'autunno
Quando
faccio il laboratorio di poesia al giovedì mattina con le mie
signore “diversamente giovani” e arriviamo alla lettura del testo di Nazim Hikmet In questa notte d'autunno mi
viene posta spesso, da persone diverse, la stessa domanda: “Cosa
significa l'ultimo verso? Le tue parole/ erano uomini”. La bellezza
della poesia sta proprio lì, nel non trovare forzatamente una
risposta, ma nel sentire quale risposta può essere adatta per te, in
quel momento. Tutta la poesia racconta la forza della parola, come la
parola possa essere veicolo di emozioni o di espressione di ciò che
siamo e vorremmo essere. E allora la parola può essere madre, amica,
può essere triste o allegra. Può essere uomo, donna, bambino, può
essere l'energia irradiante con cui vogliamo comunicare al mondo il
nostro esistere e il nostro amare. La parola può essere
consapevolezza, se indagata nel profondo: posso pronunciare la parola
Mani così, come un involucro superficiale e troppo conosciuto. O,
d'altro canto, con questo suono posso poggiare la mia attenzione alle
mani, far trasferire lì la mia anima per un po', toccarle,
coccolarle, da fuori come da dentro. E ritorno. Sentite la forza e la
fragranza delle parole del poeta turco.
1948
In
questa notte d'autunno
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini
N.
Hikmet
Era
il 1948. Hikmet era rinchiuso da dieci anni in una prigione
dell'Anatolia per le sue idee politiche contrarie a quelle del
governo turco. Era stato condannato a ventotto anni di carcere, ne
scontò dodici, e uscì di prigione nel 1950. Scrisse questa poesia
due anni prima di tornare in libertà. Il non tradire le sue parole e
quello in cui credeva l'aveva privato della libertà esteriore. Ma in questo moto di resistenza, accettazione e bellezza, anche lì,
dietro le sbarre, il suo cuore poteva solo volare libero nella
bellezza del creato. E le parole erano ali.
La
poesia è recitata da Margherita Buy in questo frammento del film Le
Fate Ignoranti, del regista turco Ferzan Ozpetek. Clicca sotto.
sabato 23 novembre 2013
Un gioco
Faccio spesso un gioco
quando mi trovo di fronte
un anziano
raggomitolato
sulla sedia con le ruote.
Lo immagino trent'anni fa
nel suo massimo splendore
di forza e talento.
Mi tolgo anche io
trent'anni:
come avrei voluto
mi trattasse
in quell'attimo?
Ritrovo la forza,
la bellezza,
la grazia,
intatte nei suoi
occhi.
Che mi ricordano
quelli di un bimbo.
E allora apro il cuore,
scelgo parole di luce,
provo ad amare
senza freni,
senza paura.
22/11/13
©
Fabio Castano
mercoledì 20 novembre 2013
Bagliore
Forse
qualcuno
stasera
sta aspettando
un tuo sorriso,
e quel sorriso
gli cambierà
la serata.
La vita.
20/11/2013
qualcuno
stasera
sta aspettando
un tuo sorriso,
e quel sorriso
gli cambierà
la serata.
La vita.
©
Fabio Castano
domenica 17 novembre 2013
Al mio cuore, di domenica
Mentre
fuori dalla finestra stormi di uccelli in sincrono disegnano figure
plastiche di rara bellezza e precisione, riprendo in mano La gioia
di scrivere di Wislawa Szymborska, una delle più geniali e
grandiose poetesse
dell'ultimo secolo, nonché una delle mie
scrittrici preferite. La gioia di scrivere è la raccolta di
tutte le sue poesie dal 1945 al 2009, edito da Adelphi e curato da
Pietro Marchesani. Avevo inserito in settimana una brochure che mi fa
da segno a pagina 249. Szymborska è spiazzante, profondamente
semplice, ti fa vedere con una spruzzata di parole un punto di vista
nuovo, una realtà data per scontata ma fondamentale. In questa
poesia che adoro Al mio cuore, di domenica,
mette in piedi un gioco di consapevolezza giusto e illuminante:
ringrazia il suo fortissimo cuore che lavora, senza sosta, anche nel
giorno in cui tutti – più o meno – riposano.
Banksy |
Ti
ringrazio, cuore mio:
non
ciondoli, ti dai da fare
senza
lusinghe, senza premio,
per
innata diligenza.
Hai
settanta meriti al minuto.
Ogni
tua sistole
è
come spingere una barca
in
mare aperto
per
un viaggio intorno al mondo.
Ti
ringrazio, cuore mio:
volta
per volta
mi
estrai dal tutto
separata
anche dal sonno.
Badi
che sognando non trapassi in quel volo,
nel
volo
per
cui non occorrono le ali.
Ti
ringrazio, cuore mio:
mi
sono svegliata di nuovo
e
benché sia domenica,
giorno
di riposo,
sotto
le costole
continua
il solito viavai prefestivo.
W.
Szymborska.
La
poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura nel 1996, ci apre
una finestra inaspettata: non diamo mai per scontato la meraviglia
armonica che siamo. Se siamo, se possiamo scoprire chi realmente
siamo, separandoci momentaneamente dal tutto, lo dobbiamo alla
bellezza della nostra anima, e al nostro corpo, macchina perfetta pur
nella sua imperfezione. E quindi grazie cuore, grazie fegato, cari
polmoni quanto vi impegnate, e tu cervello? Ti voglio bene e grazie.
Fermiamoci, ringraziamo i nostri organi: ci permettono la vita e
lavorano con rara bellezza e precisione, come quegli uccelli che
ancora fluttuano qui fuori, nel cielo di novembre.
venerdì 15 novembre 2013
Mi ricordi chi sono
Raggio di sole
che entri così forte
dalla finestra,
scaldi la mia mano
e batti sulla tastiera con me,
ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Occhi di bimbo
pieni di luce
che scrutano
il mondo
e il suo mistero profondo,
vi ringrazio:
mi ricordate chi sono.
Mela verde
con la tua polpa
fredda,
buona, buona, buona,
ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Vecchietta viva,
vecchietta bella,
che leggi poesie
e rinasci ogni dì.
Ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Con te c'ho litigato,
mi hai annoiato,
estenuato,
saturato.
Per questo ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
dalla finestra,
scaldi la mia mano
e batti sulla tastiera con me,
ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Occhi di bimbo
pieni di luce
che scrutano
il mondo
e il suo mistero profondo,
vi ringrazio:
mi ricordate chi sono.
Mela verde
con la tua polpa
fredda,
buona, buona, buona,
ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Vecchietta viva,
vecchietta bella,
che leggi poesie
e rinasci ogni dì.
Ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Con te c'ho litigato,
mi hai annoiato,
estenuato,
saturato.
Per questo ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Foglio bianco,
spazio immenso,
penna rossa,
sempre con me.
Vi ringrazio:
mi ricordate chi sono.
E dolore,
mio gran dolore,
profondo e solo,
innescato dalla mente
che non sapeva riposare.
Ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Paura, paura,
che m'hai dato l'opportunità
di affrontarti e capirti.
Ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Sono tutto,
sono niente,
sono un vuoto
di parole.
Son silenzio di diamante
o suono di seta.
Sono anche io
un po' Dio.
09/11/13
spazio immenso,
penna rossa,
sempre con me.
Vi ringrazio:
mi ricordate chi sono.
E dolore,
mio gran dolore,
profondo e solo,
innescato dalla mente
che non sapeva riposare.
Ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Paura, paura,
che m'hai dato l'opportunità
di affrontarti e capirti.
Ti ringrazio:
mi ricordi chi sono.
Sono tutto,
sono niente,
sono un vuoto
di parole.
Son silenzio di diamante
o suono di seta.
Sono anche io
un po' Dio.
09/11/13
© Fabio Castano
mercoledì 13 novembre 2013
La Giornata Mondiale della Gentilezza
La Giornata Mondiale della Gentilezza nasce per iniziativa del «World Kindness Movement»: la data, il 13 novembre, coincide con la giornata d'apertura della Conferenza di Tokyo del 1997 che si chiuse con la firma della «Dichiarazione della Gentilezza».
Di seguito il Decalogo della Gentilezza: 1.) Abita parole preziose come "Grazie", "Scusa" e "Per Piacere", 2.) Saluta le persone che incontri in ascensore, nei negozi, sul luogo di lavoro o di studio, 3.) Sui mezzi pubblici fai sedere chi ha più difficoltà, 4.) Rispetta lo spazio pubblico come rispetti il tuo spazio privato, 5.) Fai un regalo inatteso, 6.) Cammina e pedala, spostati più che puoi senza inquinare, la città tutta ti ringrazierà, 7.) Rispetta il tempo degli altri. Sii puntuale, 8.) Regala tempo a te stesso e alle persone a cui vuoi bene, 9.) Non cedere alla prepotenza: rispondi con un sorriso a chi si mostra aggressivo, discuti in modo pacato, 10.) Spegni il cellulare quando sei con altri. Abbassa le suonerie e parla a bassa voce.
Un murales di Banksy in Pollard Street, London |
Proprio in occasione di questa stupenda ricorrenza ho scelto una poesia di Herman Hesse dolcissima, che rispecchia in pieno lo spirito della giornata. La gentilezza come presenza nei momenti difficili. L'esserci, semplicemente, senza tanti giri di parole e il darsi la mano. Non siamo più abituati a dare la mano a noi stessi e agli altri. Provate un piccolo esperimento: datevi la mano ogni tanto. Accarezzatevi la mano, qualche volta. All'inizio sembrerà strano, ma può diventare un momento di consapevolezza, di auto-coccola che può avere un grandissimo significato. Mi amo, mi coccolo, mi do la mano. E da qui, posso darla anche agli altri.
Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne e l'oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle...
Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto...
Tienimi per mano... portami dove il tempo non esiste...
Tienila stretta nel difficile vivere.
Tienimi per mano... nei giorni in cui mi sento disorientata...
cantami la canzone delle stelle dolce cantilena di voci respirate...
Tienimi la mano, e stringila forte prima che l'insolente fato possa portarmi via da te...
Tienimi per mano e non lasciarmi andare... mai...
-Herman Hesse-
Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne e l'oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle...
Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto...
Tienimi per mano... portami dove il tempo non esiste...
Tienila stretta nel difficile vivere.
Tienimi per mano... nei giorni in cui mi sento disorientata...
cantami la canzone delle stelle dolce cantilena di voci respirate...
Tienimi la mano, e stringila forte prima che l'insolente fato possa portarmi via da te...
Tienimi per mano e non lasciarmi andare... mai...
-Herman Hesse-
martedì 12 novembre 2013
Tra velluto e bottoni di madreperla
Ospito con piacere sul mio blog l'amica, giornalista e scrittrice Anna Maria Colonna. Io ho scritto per lei qualche post di viaggio sul suo bel blog Terre Nomandi (www.terrenomadi.blogspot.it) e lei oggi scrive per me di poesia. Grazie! Ecco il suo pezzo.
Ho iniziato ad amare la letteratura tra
i banchi del liceo, ascoltando il professore che leggeva «La pioggia
nel pineto» di D’Annunzio e «L’Infinito» di Leopardi. Cercavo
qualcosa che mi somigliasse nelle pagine di poeti e scrittori. Loro
riuscivano ad esprime l’anima nei versi e nella prosa, io non
riuscivo a rinunciare alla penna per dire ciò che provavo. Quando
ero triste, quando la gioia mi invadeva il cuore, scrivevo. Ho
scritto anche quando mi sono
innamorata. Per istinto, per necessità,
perché non sapevo esprimermi diversamente. La voce non bastava.
Succede ancora. E spesso. Risfoglio l’antologia, rileggo i
componimenti e le parole sgorgano, trasformandosi in fiumi di
inchiostro. Penso che nella prosa e nella poesia si incontri qualcosa
di più prezioso di un’opera. È l’anima dell’uomo, il suo
sentire ed il suo vivere interiore. Se le anime sono in sintonia,
parole e suoni diventano l’unica chiave per accedere.
Tramonto da un'Invetriata |
I versi di Dino Campana continuano ad
accompagnare le esperienze più importanti della mia vita. Spesso le
risposte che cerchi, riesci ad averle da chi non conosci. Pioveva,
quel giorno. Ed il professore assegnò per casa lo studio de
«L’invetriata». Ci spiegò che Campana venne rinchiuso in
manicomio, dopo aver viaggiato tantissimo. E ci raccontò anche della
tumultuosa e passionale storia d’amore con la scrittrice Sibilla
Aleramo. Pazzo come fu ritenuto, il poeta consegnò il manoscritto
dei suoi componimenti, intitolato «Il più lungo giorno», ai
direttori della rivista letteraria «Lacerba», Giovanni Papini e
Ardengo Soffici. La speranza era di vederlo pubblicato. Il
manoscritto si perse e Campana dovette riscrivere i testi della
raccolta a memoria. Alla fine, nel 1914, la pubblicò a sue spese con
il titolo di «Canti orfici», vendendo le copie per strada e nei
caffè.
Incuriosita dalla vita di questo
scrittore e dalla determinazione con cui difendeva la sua penna,
aprii il libro subito dopo pranzo per leggere «L’invetriata». E
la lessi così tante volte che finii per impararla a memoria. Il
componimento rapisce per le sensazioni che suscita.
La sera fumosa d’estate
Dall’alta invetriata mesce
chiarori nell’ombra
E mi lascia nel cuore un suggello
ardente,
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si
accende una lampada) chi ha
A la Madonnina del Ponte chi è chi
è che ha acceso la lampada? – c’è
Nella stanza un odor di putredine:
c’è
Nella stanza una piaga rossa
languente.
Le stelle sono bottoni di madreperla
e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la
sera e tremola ma c’è
Nel cuore della sera c’è,
Sempre una piaga rossa languente.
Al di là della critica e delle analisi
testuali, resta la sensazione di serenità che trasmette il verso «le
stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto», il
mio preferito. La sera è «fatua», leggera, evanescente. E tremola,
come fosse una barchetta che danza la melodia del mare. Tremola come
può tremolare la luna che si specchia nell’acqua. La «piaga rossa
languente» dà l’idea di una ferita aperta, sanguinante. Ma non
riesco ad associare il dolore a questa poesia. I critici vi leggono
l’angoscia del poeta, io preferisco leggere tra le righe
l’inquietudine dell’uomo che cerca ciò che non ha ancora
trovato. Un uomo che, però, riesce a farsi abbracciare nel cuore
della sera. Sotto il colore madreperlato delle stelle, tra i chiarori
nell’ombra, al tramonto di un sole estivo, mentre la lampada si
accende. Tutte immagini di luce. Tutte immagini di speranza.
Anna Maria Colonna
lunedì 11 novembre 2013
Che Dio ce la mandi buona!
“Da
questa carrozzina il mondo non è più lui. Sei come costretto a
guardare tutti dal basso, tutti sanno fare, tutti ti sovrastano. E
invece tu sei lì, seduto, per forza. Hai
voglia di alzarti?
Grattarti? Prendere un ascensore? Fumarti una sigaretta? Non puoi,
devi chiedere. Dipendi, dipendi, dipendi. Per tutto. Da quando
l'ictus mi ha colpito mi sembra sei mesi fa', non ricordo bene, dopo
i primi tempi sul confine sottile tra la vita e altro, sdraiato e
pieno di cannette in un letto d'ospedale, mi hanno seduto qua. E bom.
Ti trovi in un mondo a metà, di colpo. A 62 anni in un ospizio male
odorante, pieno di novantenni che guardano nel vuoto, sbavano, urlano
di notte. Avrei voglia di alzarmi, grattarmi il sedere, urlare e poi
anche risedermi va bene: ma quando dico io, quando ho voglia io. E
invece. Avrei voglia di prendere la macchina, con mia moglie, come ai
vecchi tempi. Scegliere un ristorantino, mangiare pasta al pesce e un
vinello bianco. Vorrei cambiare direzione a metà tragitto, mentre
stiamo tornando a casa, non dire nulla, cibarmi con lei del silenzio
raffinato. Aprire la portiera, sedermi sull'erba appena umida di
rugiada. Abbracciarla. Non dire niente, sentirne il calore. E
guardare le stelle, guardare le stelle appese ad un filo nel cielo.
Così, semplicemente. É proprio la semplicità che in queste
condizioni diventa complicata, diventa l'obiettivo: riconquistare le
cose semplici”.
Rilessi
queste parole tutte d'un fiato e per un attimo i pensieri complicati
e intrecciati si azzittirono. Era una parte dell'intervista che avevo
fatto il giorno prima al signor Alfredo, una delle tante che stavo
raccogliendo per il mio progetto di Interviste Biografiche agli
ospiti della struttura dove lavoro.
Ho
cominciato a fare l'animatore qui dentro da quasi sei mesi e
all'inizio mi sembrava l'inferno. Camminavo lentamente per i corridoi
saturi di odori nauseanti, guardavo in ogni stanza, come curioso di
poterci trovare cose da cui trarre un minimo di pace. La sofferenza
che esce da quelle camere è immensa e si compone di noia,
solitudine, perdita di speranza e dolore, dolore fisico. Non si
scherza qua, c'è il dolore puro, quello vero, non quello causato
dalle acrobazie viziose della nostra mente. E come il freddo totale
ad un certo punto brucia, diventa quasi calore, anche il dolore forse
ha una soglia assoluta in cui si trasforma in qualcos'altro: forse
apatia, forse consapevolezza, forse gioia e felicità. E sì, non ci
crederete ma in un posto così, lontano anni luce dallo stereotipo
della nostra felicità, io c'ho visto spiragli di gioia e luce. Luce
purissima.
Tra
l'altro quella del signor Alfredo non era l'unica intervista che
parlava di stelle, di cielo e di stelle.
“A
Catania, quando avevo dodici anni, uscivo con mio padre la notte,
dovevo tenere pulita la barca di legno che avevamo. Era il nostro
gioiellino: con quella mangiavamo tutti, io e i miei sei fratelli. Io
ero il più grande e quindi l'ometto di casa. Dovevo aiutare papà.
Oltre ai suoi baffoni folti e la bocca piccola che più che parlare,
soffiava, quello che mi è rimasto impresso è quel cielo che non
finiva. Noi sulla barchetta, un puntino in mezzo al mare, e il cielo
una cupola infinita. E le stelle brillavano, brillavano, che le
potevi toccare se allungavi la mano”.
Questo
era Antonio per esempio, che ha 88 anni e quando è emigrato al nord
piano piano, con piccoli risparmi è riuscito ad aprire una pescheria
nel paese qui vicino. Mentre mi parlava gli occhi gli brillavano, un
po' come le stelle di cui racconta.
O
Beatrice. Sentite Beatrice. Ho sottolineato in giallo il pezzo che mi
interessava.
“Ricordo quell'aria frizzante di quando il babbo, dopo
un anno di fatiche, ci portava un tre o quattro giorni in montagna.
Quando arrivavamo correvo nel mio posticino, sotto l'albero secolare,
vicino alla chiesetta. E guardavo le signore nuvole passare. Cercavo
delle forme. Il cielo era la coperta calda per ogni dolore o
tristezza che avevo”.
Banksy |
Quanta
poesia in queste persone che ogni giorno mi ritrovo davanti. Tanta è
la prosa della loro età, delle loro malattie: ma all'interno hanno
poesia pura, quella che tracima dalla memoria e dell'anima.
Il
cielo ritornava, le stelle sono dentro di loro. Da troppo tempo si
addormentano al chiuso della loro stanzetta condivisa con uno
sconosciuto, che urla tutta la notte per la paura e per l'asma che
non passa. O magari sono loro stessi ad urlare per scacciare le ombre
che di notte diventano più scure.
Abbiamo
pensato con i colleghi di organizzare un'uscita nuova, imprevista, in
realtà non consentita dalla struttura. Sul programma settimanale al
posto del solito evento abbiamo messo una stella. Nessuno sospetterà,
infatti sabato è il 10, San Lorenzo. Tutti penseranno a quello, non
alla nostra fuga.
Porteremo
delle coperte per ripararli dall'arietta estiva, li faremo uscire da
una porta laterale in modo che dalla reception non ci vedano. Siamo
già d'accordo con Alfredo, Antonio e Beatrice. Ci metteremo lì per
un po', forse bisbiglieremo qualcosa. Forse staremo solo in attesa.
In attesa che qualche stella scriva per noi un messaggio di luce nel
cielo.
Ho
parlato anche con la moglie del signor Alfredo, verrà anche lei a
caccia di stelle, come ai vecchi tempi.
In
quel momento Antonio porterà una foto di suo padre, e la sua
carrozzina sarà la barca di legno in mezzo al mare di Catania.
Beatrice
cercherà le nuvole a forma di fungo o drago, come nelle sue estati
di bambina.
Dopo
un po', anche per non far prendere loro troppo freddo, torneremo in
camera. Con un bel segreto da conservare.
Spero
solo che Antonio non si metta a cantare quel suo moti-
vetto che ripete
quando una situazione gli piace. Se no ci beccano!
Tutto
è pronto: che Dio ce la mandi buona!
©
Fabio Castano
Nota - Racconto finalista al Premio Mirella Ardy di Sestri Levante 2013.
domenica 10 novembre 2013
Se la guardi con bellezza
Capita spesso che, mentre stai cercando una cosa, ne trovi un'altra, ancora più bella, ancora più adatta a quel momento, che ti fa rivalutare anche la prima da un altro punto di vista. Così, qualche giorno fa, salgo in magazzino al lavoro per fare spazio, per permettere alle donne delle pulizie di fare il loro e, aprendo uno scatolone di cartone, mi capita in mano questo libro: Parole Sussurrate, una raccolta di aforismi, poesie, frasi di Kahlil Gibran, l'immenso autore del Profeta. I testi sono disposti a mo' di dizionario, in ordine alfabetico, per argomenti. Lo prendo, ne assaporo la fattura, subito dopo la copertina c'è un nome cancellato – doveva essere il proprietario del libro. Apro casualmente le pagine e si delinea un percorso che mi vuole dire qualcosa, che di casuale ha poco. Mi si apre la pagina dal titolo Poesia, quella dal titolo Pellegrinaggio e infine Trasfigurazione. Ci dev'essere un messaggio, inizio a leggere qualche parola di Pellegrinaggio. Gibran scrive:
Ogni
seme che l'autunno sparge nella terra
ha
un suo modo caratteristico
di liberare la polpa dall'involucro;
poi si creano le foglie,
e poi i fiori, e poi il frutto.
Ma indipendentemente dal modo
in cui tutto ciò avviene,
queste piante devono compiere
un solo pellegrinaggio,
e la loro grande missione è quella di ergersi
dinanzi al volto del sole.
di liberare la polpa dall'involucro;
poi si creano le foglie,
e poi i fiori, e poi il frutto.
Ma indipendentemente dal modo
in cui tutto ciò avviene,
queste piante devono compiere
un solo pellegrinaggio,
e la loro grande missione è quella di ergersi
dinanzi al volto del sole.
Adoro
la semplicità profonda di scrittura di questo poeta, la ricerca
dell'essenzialità della parola. Scrivere poesie è un po' come
scolpire, il difficile è togliere il superfluo, la forza della
parola basta a se stessa. Qui ci sono parole importanti, che possono aprire mondi, e in una semplice metafora, quella del seme che rompe
l'involucro, Gibran ci da una visuale sulla vita privilegiata. Mi
sembra fondamentale quando l'autore scrive che ogni seme ha un modo
caratteristico di rompere il suo involucro. Ci dice:
io, noi, voi, siamo semi dotati di un talento unico. Dobbiamo cercare
di riconoscerlo, di amarlo, di coltivarlo e infine di metterlo a
frutto, di farlo sbocciare. Cosa sai fare? Cosa ami fare? Cosa amavi
da bambino, quando eri così vicino alla Fonte che ti ha creato? Indipendentemente da come uno lo fa, ecco
il pellegrinaggio glorioso, quello della ricerca del proprio talento,
della ricerca di sé. Un pellegrinaggio che ti riporta, come da
bimbo, vicino, di fronte al sole, alla bellezza che tutti ci ha
creato. Rompi l'involucro della mente, dei pensieri, scopri, riscopri
il tuo talento, fai parlare la tua anima. Se prendessimo un ragnetto
e gli chiedessimo di costruire un palazzo sarebbe perso, avrebbe
smarrito il suo talento. Lo stesso ragno, quando fa la ragnatela,
trova una simmetria divina nel costruirla. Torno a poco fa, quando le
pagine si sono aperte: Poesia, Pellegrinaggio, Trasfigurazione. Tutto
quadra di più ora: che avventura è la vita se la guardi con
bellezza.
sabato 9 novembre 2013
E VICEVERSA
Mr Brainwash |
La mia ultima poesia, scritta qualche ora fa, prima di uscire.
E viceversa
Chi oggi è alto
sarà basso, domani.
Chi oggi è ricco
sarà povero, domani.
Chi oggi è bianco
sarà nero, domani.
Chi oggi è giovane
sarà vecchio, domani.
Chi oggi ha perso
vincerà, domani.
Chi oggi ha mangiato
avrà fame, domani.
Chi oggi salta
sarà seduto, domani.
Chi oggi spinge
sarà trainato, domani.
Chi oggi ricorda
dimenticherà, domani.
Chi oggi è in prigione
sarà libero, domani.
Chi oggi è allievo
insegnerà, domani.
Chi oggi è giudice
sarà imputato, domani.
Chi oggi è re
sarà schiavo, domani.
Chi oggi urla
starà in silenzio, domani.
Chi oggi odia
amerà, domani.
Chi oggi da
avrà, domani.
Chi oggi finisce
inizierà domani.
E viceversa.
Ma chi ha Dio
ha tutto
l'infinito che occorre,
oggi.
08/11/13
© Fabio Castano
giovedì 7 novembre 2013
La Poesia, come i sogni, non ha età
Nei
loro occhi vedo frammenti di bellezza rinata. Leggono le poesie e si
immergono nelle parole che fluiscono come da un torrente che a
tratti
accelera, e subito dopo rallenta. Questa visione si ripete ormai da
tre giovedì consecutivi, la mattina, quando tengo alle mie
“vecchiette” nella casa di riposo dove lavoro un laboratorio di
poesia. Stiamo preparando un recital che si svolgerà il 10 dicembre.
Il tema che abbiamo scelto è “Cinema Di-Versi”, le poesie che
vengono citate nei film. E allora ci siamo immersi nelle metafore
feconde del Neruda del Postino, con Massimo Troisi, abbiamo preso a
prestito da L'Attimo Fuggente il mitico Oh Capitano! Mio Capitano di
Walt Withman (vedi link sotto, da brividi!) e La strada meno battuta del poeta americano Robert
Frost. Abbiamo preso da Patch Adams il Sonetto XVII, sempre di
Neruda, che Patch-Robin Williams legge davanti alla bara della
compagna sussurrandole di un amore tanto incondizionato, quanto
totale, che ha nei versi “T'amo senza sapere come, né quando, né
da dove,/ t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:/ così ti
amo perché non so amare altrimenti/, delle vibrazioni profonde e pure
che fanno risuonare direttamente l'anima di chi le prende in prestito
e le recita. È una stupenda sensazione vedere queste signore e anche un
paio di ometti mettersi in gioco, emozionarsi, provare ad entrare nel
testo per sentire qualcosa e migliorarsi di lettura in lettura. Credo
che il vero momento poetico nasca lì, così come un grandissimo
insegnamento: se il cuore è caldo, se la voglia di scoprire e
ricercare rimane intatta, ad ogni età si può essere giovani,
Mr Brainwash - Cuore di barattoli di vernice |
Un'altra
delle poesie scelte per il recital è di Totò, questa:
Core analfabbeta
Stu
core analfabbeta
tu ll'he purtato a scola,
e s'è mparato a
scrivere,
e s'è mparato a lleggere
sultanto na
parola:
"Ammore" e niente cchiù.
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